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Dr. Daniele F. Millimaggi
Specialista in Chirurgia Vertebrale
Patologie e Trattamenti avanzati
Dott. Daniele Millimaggi, Chirurgo Vertebrale
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Chirurgo Vertebrale e Neurochirurgo
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Il Low Back Pain (Dionne et al. 2008, de Vet et al 2002) viene definito come “il dolore percepito tra il margine inferiore dell’arcata costale e le pieghe glutee inferiori, con o senza dolore alla gamba”. Solitamente il dolore è causato da problemi del sistema muscoloscheletrico, in particolare della colonna vertebrale, che comprende le ossa (vertebre), i dischi, i muscoli e i legamenti che la sostengono. Le cause della lombalgia possono essere molteplici: lesione a muscoli e legamenti; osteoartrite; disturbi posturali (ipolordosi); fibromialgia; spondilosi; instabilità vertebrale; sindrome delle faccette articolari; ernia del disco; stenosi lombare; spondilolistesi; fratture vertebrali; infezioni; tumori primari, tumori metastatici, tumori emopoietici; malattia di Paget; spondilite anchilosante; polimialgia reumatica.
La maggiorparte di suddette patologie potrebbero anche causare un conflitto radicolare ed espimersi sottoforma di lombosciatalgia o lombocruralgia, monolaterale o bilaterale (meno frequente). Raramente il sintomo radicolare può presentarsi in modo isolato come sciatalgia o cruralgia.
Stenosi Lombare
La microdiscectomia lombare rappresenta la procedura standard per il trattamento dell’ernia del disco lombare: consiste nella rimozione del frammento discale espulso che comprime le strutture nervose.Tecniche chirurgiche moderne come la discectomia per via endoscopica hanno reso tale procedura meno invasiva, con una ripresa del paziente molto più rapida. Se presente la sd. faccettale, vanno posizionate, per via precutanea, 2 viti trans-articolari.
Il movimento e il carico generano modificazioni e usura dei tessuti nel corso della vita. Queste modificazioni includono la perdita di elasticità dei tessuti, lo sviluppo di osteofiti (ossificazioni), la calcificazione e l'ipertrofia dei legamenti. Di conseguenza, le strutture intorno al canale vertebrale aumentano di volume, riducendo così lo spazio disponibile per le strutture nervose. Il restringimento del canale vertebrale prende il nome di stenosi. Il sintomo principale della stenosi lombare è la cosiddetta “claudicatio neurogena”. Si tratta di una sensazione di pesantezza delle gambe, dopo un tratto di cammino più o meno lungo. Il sintomo principale è però la perdita di forza che impedisce di proseguire il cammino e che scompare dopo un più o meno breve riposo. Il dolore spesso scompare se si assume una posizione di piegamento in avanti, per esempio da seduti. Nei casi gravi, il paziente può a malapena percorrere pochi metri. Il trattamento prevede un'artrodeisi posteriore percutanea: tramite l'insersione di viti e barre che poi vengono serrate in distrazione, si ottiene una decompressione indiretta. Nei casi più gravi questa procedura va associata a un ricalibraggio microchirurgico del canale.
Instabilità vertebrale
Cisti sinoviale
La lombalgia isolata è il sintomo predominante. Esisto due gradi di instabilità. Nella microinstabilità il disco degenerato provoca micromovimenti delle vertebre che scivolano tra loro, con conseguente infiammazione del piatto discale (vedi immagine) o dell'articolazione vertebrale (sindrome faccettale) e insorgenza di dolori alla schiena, ma la colonna vertebrale mantiene il suo corretto allineamento. Nella macroinstabilità la colonna vertebrale perde il suo normale allineamento e le vertebre scivolano una sull'altra determinando la condizione definita spondilolistesi. In caso di grave instabilità, il trattamento chirurgico consiste nella stabilizzazione vertebrale mediante viti e barre. In casi selezionati di microinstabilità (sindrome faccettale) è nesessario l'inserimento di piccole viti trans-articolari.
La cisti sinoviale è una condizione benigna che si verifica a livello di una articolazione intervertebrale come conseguenza di un processo degenerativo. Il liquido sinoviale è un fluido contenuto all’interno della membrana sinoviale dell’articolazione intervertebrale ed ha il compito di lubrificare le strutture che compongono l’articolazione. In risposta ai processi degenerativi il liquido sinoviale viene prodotto in maggiore quantità. I disturbi dipendono dalle dimensioni e dalla posizione della cisti sinoviale che può limitarsi a comprimere solamente una radice nervosa (stessa sintomatologia dell'ernia discale) oppure, se di grosso volume, determinare una stenosi del canale, dando sintomatologia analoga. La cisti va asportata chirurgicamente e se gli esami pre-operatori mostrano una instabilità, va effettuata una stabilizzazione vertebrale.
Spondilosi e Spondilolistesi
Per spondilolistesi lombare s’intende lo scivolamento parziale o completo di una vertebra su di un’altra. Questo disallineamento vertebrale può causare un restringimento del canale vertebrale e una compressione delle radici lombari Può scorrere in avanti (anterolistesi) o indietro (retrolistesi). Potrebbe essere definita la vera instabilità vertebrale. La spondilolistesi si manifesta in diverse forme. La più comune è la spondilolistesi istmica, che rappresenta anche la causa più comune di lombalgia negli adolescenti. La spondilolisi è un piccolo difetto/crepa di una porzione della colonna vertebrale nota come pars interarticularis che collega i processi articolari superiore e inferiore. Di solito è il risultato di uno stress ripetuto sull'osso (frattura da stress). La spondilolisi si verifica più frequentemente nei giovani atleti che praticano sport che richiedono ripetute iper-estensioni della parte bassa della schiena. La spondilolisi è la causa più comune di spondilolistesi istmica e si verifica tipicamente a livello L5-S1, dove il corpo vertebrale L5 scivola sopra l'osso sacro. Tuttavia, ciò non significa necessariamente che la spondilolisi porti sempre alla spondilolistesi. Esistono anche forme di spondilolistesi post-traumatiche, malformative e degenerative senza lisi istmica. Il sintomo solitamente è una lombalgia che peggiora dopo una prolungata posizione eretta, una camminata o qualsiasi tipo di attività che comporti piegamenti all'indietro ed è spesso alleviata dal riposo. Inoltre, può essere accompagnata da dolore, formicolio, intorpidimento e/o debolezza che si irradia dalla parte bassa della schiena fino ai glutei e alle gambe nella zona interessata dalla radice nervosa interessata (radicolopatia lombare). Il trattamento si concentra sulla minimizzazione del dolore e sulla stabilizzazione della colonna vertebrale mantenendo integra la mobilità. Anche in questo caso il trattamento chirurgico prevede una stabilizzazione vertebrale percutanea. Questa tecnica chirurgica consiste nel favorire la fusione (artrodesi) e la stabilizzazione di una o più vertebre al fine di eliminare il dolore o ridurre le deformità. Attraverso l’utilizzo di un apparecchio che fornisce immagini radioscopiche (amplificatore di brillanza), si individuano i peduncoli vertebrali nelle due proiezioni ortogonali. Si procede, quindi, all’inserimento guidato di appositi viti la cui testa prevede uno specifico alloggiamento per il posizionamento delle barre. Una volta inserite e fissate le barre si procede al controllo radioscopico finale. Se necessario possono essere effettuate anche manovre di distrazione e riallineamento vertebrale. In casi selezionati, dove è necessario conferire maggiore stabilità alla colonna vertebrale, a causa dischi intervertebrali degenerati o erniati si procede all’inserimento di cage intersomatiche per favorire anche la fusione tra i corpi vertebrali (artrodesi anteriore) equindi ottenere una artrodesi a 360°. La tecnica percutanea, comprende numerosi vantaggi: l’incisione chirurgica è limitata a pochi millimetri, non occorre scollare le strutture fasciali tendine e muscolari dalle strutture ossee, le perdite ematiche sono limitate, il rischio d’infezione è ridotto, i tempi operatori relativamente brevi, il recupero funzionale del paziente rapido.
La frattura vertebrale da compressione si verifica quando le vertebre si fratturano o collassano, non necessariamente a seguito di un trauma evidente. Le vertebre possono fratturarsi o collassare a causa della riduzione di tessuto osseo. L'osteoporosi primaria e la menopausa non sono le uniche condizioni responsabili della riduzione del tessuto osseo. La perdita di massa ossea, che comporta maggiori rischi di
fratture di questo genere, è determinata anche da patologie concomitanti, quali ipertiroidismo, tumori benigni e maligni primitivi, tumori metastatici, tumori emopoietici, inclusi i trattamenti di chemioterapia e radioterapia. Il dolore alla schiena persistente segnala che vi sono dei problemi. Il trattamento tradizionale del dolore alla schiena e/o delle fratture vertebrali prevede alcuni giorni di riposo a letto, l'assunzione di antidolorifici e l'utilizzo di un busto ortopedico. Le cure conservative alleviano il dolore ma non sono in grado di riparare del tutto un osso fratturato. In base alla gravità della frattura e al tempo di insorgenza, esistono diversi trattamenti. La vertebroplastica consiste nell'iniezione, all'interno della vertebra fratturata, di un cemento osseo (polimetilmetacrilato) a bassa viscosità, attraverso un ago metallico, in anestesia locale. Il cemento iniettato si diffonde all'interno del corpo vertebrale fratturato e si solidifica nel giro di poco tempo. Ciò determina la scomparsa del dolore e la stabilizzazione della vertebra fratturata, riducendo il rischio di ulteriori cedimenti. La cifoplastica consiste nell'inserimento all'interno del corpo vertebrale di una di mini-slitta in titanio che successivamente viene aperta con un meccanismo simile a un crick per automobile. Al termine del rimodellamento, per consolidare il tutto, viene introdotto il cemento sintetico, e in questo caso, si ottiene il duplice risultato di rinforzare la vertebra, premettendole di sopportare le sollecitazioni dovute al carico del peso corporeo e dei movimenti del busto, e di “asciugare” l’edema provocato dalla frattura stessa, con conseguente regressione del dolore. La stabilizzazione vertebrale percutanea (talvolta denominata anche fissazione o artrodesi vertebrale) consiste nell’inserimento di viti all’interno delle vertebre. Le viti vengono poi collegate fra di loro con delle barre al fine di ottenere un costrutto che “stabilizza” le vertebre. Le procedure percutanee, a differenza di quelle cosiddette “open”, garantiscono: minor tempi di degenza, minor dolore post-operatorio e minor rischio di infezioni.
Tumori vertebro-midollari
Spondilodisciti
I tumori vertebro-midollari possono essere di varia natura, sia primitivi, sia metastatici, sia ematologici. Il tumore metastatico è il più comune (polmone, mammella, prostata). Sono neoformazioni che causano, in genere, una compressione del midollo e/o dei nervi. Possono localizzarsi in qualsiasi livello della colonna (dorsale > lombare > cervicale), per questo motivo la sintomatologia è vasta e spesso aspecifica. In base alla sede essi possono essere: extradurali (metastasi o schwannomi) , che interessano la vertebra; intradurali extramidollari (meningiomi, neurofibromi, schwannomi), che non interessano la vertebra ma le strutture del canale vertebrale, eccetto il midollo o le radici spinali; midollari, che tendono a infiltrare il midollo spinale (astrocitomi, ependimomi). Il dolore resistente ai farmaci rappresenta il sintomo più frequente. Possono essere presenti altri sintomi: formicolio agli arti (parestesie); debolezza generalizzata (astenia); difficoltà nel controllo degli sfinteri anale e vescicale; difficoltà nella deambulazione. I test di neuro-imaging (TC, RMN, PET) evidenziano la condizione e permettono di procedere con l’iter terapeutico più appropriato. Le moderne chemio e radioterapia hanno rivoluzionato negli ultimi anni il trattamento e la sopravvivenza a lungo termine nei pazienti con un tumore vertebro-midollare. Alcuni tumori possono essere addirittura solo osservati (wait and see) con esami radiologici ripetuti. L’intervento chirurgico del tumore vertebro-midollare è indicato in presenza di progressivo o repentino peggioramento delle funzioni neurologiche, in modo da eliminare la compressione delle strutture nervose coinvolte. Vanno sempre eseguiti con monitoraggio neurofisiologico intra-operatorio. Negli ultimi anni, soprattutto grazie alle moderne tecniche di chemioterapia e radioterapia, si sono sviluppati dei protocolli chirurgici dove anche l’asportazione radicale di una neoplasia vertebrale si è resa possibile.
Le spondilodisciti sono processi infettivi della colonna vertebrale, solitamente coinvolgenti le vertebre e il disco. Possono essere coinvolte anche le strutture anatomiche contigue (meningi, midollo, nervi e muscoli paravertebrali). Possono localizzarsi in tutti i livelli della colonna vertebrale, in modo più frequente nel tratto lombare. Possono verificarsi per via ematogena o per inoculazione diretta, in particolare in precedenti interventi chirurgici e stati di immunodepressione. Gli organismi maggiormente responsabili di sono i batteri gram-positivi (50% Staphilococcus aureus). I sintomi principali delle spondilodisciti sono la febbre, la lombalgia e la rigidità della colonna vertebrale. Il primo esame ematochimico da eseguire è il dosaggio della PCR. Importante è l’esecuzione di una risonanza magnetica con mdc e di una PET-TC. Si completa la diagnosi con delle emocolture. La biopsia disco-vertebrale è indicata in presenza di emocolture negative. Bisogna instaurare una terapia antibiotica precoce empirica, in attesa dei risultati degli esami colturali. In presenza di un voluminoso ascesso o di compressioni delle strutture nervose, però, sono indicati il drenaggio evacuativo e una decompressione chirurgica della colonna, eventualmente completata da una stabilizzazione vertebrale.
Cervicalgia e patologie correlate
Famosa ai più come “cervicale”, la cervicalgia è un disturbo muscoloscheletrico che affligge 7 persone su 10, provocando mal di collo, in molti casi accompagnato da altri sintomi, che vanno dal mal di testa alle vertigini, dal dolore alle spalle al dolore alle braccia. Diversi fattori, quali: sedentarietà; postura scorretta; colpi di freddo; attività sportive che mettono sotto sforzo le spalle, come la pesistica e il ciclismo; stress; determinate attività lavorative; trauma (colpo di frusta); inducono tensione muscolare da sovraccarico, che, protratta nel tempo, può incidere sulla salute del tratto cervicale. I sintomi più comuni di una cervicalgia sono: dolore cervicale; rigidità del collo; cefalea; vertigini; nausea; spossatezza; acufeni. Quando il dolore si irradia dal collo alla spalla o anche al braccio, fino alle dita della mano, si parla di cervicobrachialgia, che spesso provoca anche parestesie (scosse elettriche e formicolii). Nei casi più gravi possono essere presenti deficit di forza. Questi ultimi sintomi sono generalmente dovuti a un’irritazione o compressione di un nervo, a causa, per esempio, di un’ernia del disco, o di un osteofita (escrescenza ossea che si forma in seguito a un processo artrosico) che causa una stenosi del canale. Dunque, le cervicobrachialgie possono essere legate anche a discopatie o ad artrosi cervicale. La diagnosi di queste patologie prevede in primo luogo l’analisi della sintomatologia riscontrata, indagando inoltre sulla storia del paziente, l’anamnesi. Si procede in seguito con l’esame obiettivo neurologico; il sospetto, infine, viene confermato con: radiografie statiche e dinamiche; tomografia computerizzata (TC); risonanza magnetica (RMN); studi neurofisopatologici come Potenziali evocati somatosensitivi e motori (PESS e PEM) e elettromiografia (EMG). In base ai risultati diagnostici e alla gravità della sintomatologia, il trattamento dell’ernia cervicale e delle stenosi cervicale è variabile. Le forme lievi vengono generalmente trattate con fisioterapia e farmaci, in modo da limitare la compressione del canale vertebrale, causa della sintomatologia. Nei casi in cui non dovessero essere risolutivi, si fa ricorso al trattamento chirurgico. L’intervento chirurgico è chiamato ACDF (anterior cervical discectomy and fusion).Tramite un accesso anteriore al collo, si rimuove il disco erniato e l’eventuale osteofita, posizionando al posto del disco una cage in PEEK (polimero termoplastico organico) che mantiene il normale movimento. È un intervento mini-invasivo, eseguito con l’ausilio di microscopio intraoperatorio, in anestesia generale e richiede il ricovero del paziente di 2-3 giorni. Il recupero completo avviene dopo 30 giorni dall’intervento. In casi selezionati, soprattutto quando sono presenti 3 o più livelli di stenosi, il paziente è anziano, la lordosi è conservata e c’è un’importante calcificazione del legamento longitudinale posteriore, è indicato un intervento per via posteriore chiamato laminoplastica open-door (ha sostituito la laminectomia diminuendo drasticamente il tasso di fusioni in cifosi).
Sindrome del tunnel carpale
Neuropatia periferica che può generare formicolii, intorpidimento e dolore alle prime dita della mano e al braccio, soprattutto nelle ore notturne, talvolta accompagnato da dolore; è dovuta alla compressione del nervo mediano che decorre lungo il braccio e raggiunge le dita passando all'interno di uno stretto canale (il tunnel carpale appunto) presente a livello del polso. Le donne in gravidanza e i soggetti affetti da diabete, ipotiroidismo, alcune forme di amiloidosi o artrite reumatoide presentano un maggior rischio di sviluppare la sindrome del tunnel carpale. Sono a rischio anche i soggetti che lavorano eseguendo movimenti ripetuti e forzati a polso esteso, che sono esposti a ripetute vibrazioni e che usano frequentemente mouse e tastiera. Tuttavia, la maggior parte dei casi si manifesta per motivi sconosciuti. Gli esami che possono essere utili nel formulare una diagnosi di sindrome del tunnel carpale sono: test di laboratorio ed elettromiografia, utile a valutare la velocità con cui il nervo trasmette gli impulsi e a verificare lo stato di salute del nervo mediano. Nella maggioranza dei casi è necessario ricorrere alla chirurgia. Grazie all’intervento è infatti possibile creare più spazio al nervo all’interno del tunnel tagliando il legamento che costituisce il “tetto” del tunnel dal lato del palmo. Si procede tramite una piccola incisione lunga 2 cm circa a livello del polso, che consente al chirurgo di procedere al taglio del tetto del canale. L’intervento è breve, della durata di circa 15 minuti, e la medicazione andrà mantenuta per 8 giorni. L’intervento è eseguito in regime ambulatoriale. La mano può essere utilizzata da subito, per i movimenti semplici, dopo la rimozione dei punti, per quelli complessi e il paziente è completamente autonomo. Nelle settimane o nei mesi successivi all’intervento il paziente potrebbe avvertire indolenzimento nella zona della cicatrice. L’intorpidimento e il formicolio possono scomparire rapidamente oppure in maniera più graduale. Possono essere necessari vari mesi affinché la forza della mano e del polso torni alla normalità. Il ripristino delle funzioni del nervo è accelerato con l’assunzione per bocca, di integratori a base di l-acetil-carnitina, 1000 mg/die, per un paio di mesi.
Idrocefalo
Sacroileite
Una sindrome di demenza trattabile. L'idrocefalo è una condizione dovuta a un'eccessiva quantità di liquido cerebrospinale nei ventricoli cerebrali. L'idrocefalo normoteso è una forma che colpisce soprattutto soggetti di età over 60. In condizioni normali esiste un delicato equilibrio tra la produzione, la circolazione e l’assorbimento del liquido cerebrospinale nelle cavità del cervello note come “ventricoli cerebrali”, quando questo equilibrio viene alterato si sviluppa l'idrocefalo. L'idrocefalo normoteso è caratterizzato dall'insorgenza graduale di tre sintomi, in genere in quest’ordine: disturbi della deambulazione con passo a base allargata, tendenza a cadere, sensazione di piedi pesanti o difficoltà a fare le scale; incontinenza urinaria con frequente e improvviso bisogno di urinare o incapacità di trattenere l’urina, lieve demenza (deficit cognitivi) con perdita di memoria a breve termine, apatia o sbalzi di umore. Per fare diagnosi sono necessari la risonanza magnetica (RMN) e dei test neuropsicologici. Una puntura lombare, con drenaggio del liquido cerebrospinale lombare (TAP TEST) è utilizzata per valutare le possibilità di risposta positiva da parte del paziente all'impianto di uno shunt. Gli shunt sono dispositivi impiantabili in plastica e silicone, il cui scopo è reindirizzare il liquido cerebrospinale verso altre aree del corpo. Tale intervento fa sì che i ventricoli ingrossati tornino a dimensioni più prossime alla norma alleviando i sintomi associati. Lo shunt più comune è la derivazione ventricolo-peritoneale. Si assisterà dapprima a una diminuzione dei disturbi della marcia (48 ore) e successivamente ad una riduzione dell’incontinenza urinaria e dei disturbi di memoria (una settimana).
Se hai mai avvertito dolore nella zona bassa della schiena o nelle natiche, potresti essere affetto da una condizione chiamata sacroileite. La sacroileite è un’infiammazione delle articolazioni sacroiliache, che collegano il sacro (l’osso triangolare situato nella parte inferiore della colonna vertebrale) all’ileo (l’osso a forma di ventaglio nella parte superiore dell’anca). Queste articolazioni svolgono un ruolo cruciale nell’assorbire l’urto tra la parte superiore e inferiore del corpo durante il movimento. Le cause della sacroileite posso essere: traumi, artrite, gravidanza, problemi posturali, eccessivo peso corporeo. I sintomi sono: dolore lombare, dolore alle natiche, rigidità e dolore nella zona lombare e delle anche, dolore durante la notte, sensazione di instabilità. La fisioterapia è fondamentale. Utili sono anche ultrasuoni e terapia elettromagnetica. Nei casi in cui suddetti trattamenti non sono sufficienti, vanno integrati con terapia farmacologica ed infiltrazioni intra-articolari. Le infiltrazioni sono iniezioni, con un ago, di anestetici locali e cortisonici all'interno dell'articolazione. Il ciclo è costituito da 3 infiltrazioni a distanza di 1-2 settimane una dall'altra. L'obiettivo è spegnere completamente l'infiammazione evitando le ricadute.